Il Governo taglia (poco) l'acquisto degli aerei F-35
Aprima vista sembra un grande passo avanti quello che il governo italiano sta compiendo per la faccenda degli F 35, i supertecnologici, supersofisticati ed anche supercostosi cacciabombardieri Joint Strike Fighters prodotti dall’americana Lockheed Martin. Dopo aver ribadito per anni l’intenzione di acquistarne la bellezza di 131 con una spesa colossale per il nostro paese di circa 15 miliardi di euro, ora l’orientamento sta cambiando e il ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola che del progetto è un po ’ il padre putativo, lascia intendere che sarà inferiore il numero di esemplari che l’Italia comprerà. Forse saranno 100, forse 90.
MA A BEN VEDERE la svolta è molto meno drastica di quanto le apparenze suggerirebbero. Prima di tutto perché l’Italia non è il solo paese a ridimensionare i suoi programmi di acquisto, anzi, sono molte le nazioni partecipanti al consorzio che ci stanno ragionando su. A cominciare dagli gli Stati Uniti che pure sono i capofila della gigantesca operazione che in origine prevedeva la costruzione di 2. 443 aerei. Lunedì il Pentagono ha deciso di posticipare di un quinquennio la produzione di 179 esemplari, con un risparmio di 15, 1 miliardi di dollari, e ha deciso anche di acquistare l’anno prossimo 13 aerei in meno del lotto programmato risparmiando altri 1, 6 miliardi di dollari. E questa è la terza revisione del programma decisa in pochi anni dalla Difesa americana. Anche Norvegia e Danimarca stanno rivedendo i loro impegni mentre il governo australiano che doveva cominciare ad acquistare F 35 a partire dall’anno in corso si sta prendendo una pausa di riflessione spaventato dalla volatilità dei costi che rischiano di risultare molto più salati di quelli previsti e preventivati fino ad oggi. La svolta del governo italiano, inoltre, non riguarda minimamente la questione politica centrale di tutta l’operazione F 35, impostazione che anzi implicitamente viene ribadita. L’accordo per i cacciabombardieri della Lockheed Martin è frutto di una stagione politica completamente diversa dall’attuale. L’adesione dell’Italia al più costoso e ambizioso programma militare della storia nasce all’inizio degli anni Duemila ed è figlia di un’intesa tra Silvio Berlusconi e Bush, un’intesa dai forti contenuti antieuropei. La partecipazione dell’Italia a quel gigantesco progetto significava relegare in seconda fila i piani aeronautici europei su cui il nostro paese era impegnato basati sulla realizzazione dell’Eurofighter Typhoon.
IN PRATICA il nostro paese si sganciava dall’asse franco-tedesco inserendosi in una filiera a guida americana. Non era solo una faccenda industriale, ovviamente. In ballo c’erano delicate questioni di politica estera. Con quella scelta, inoltre, veniva messa in discussione fin dalle fondamenta anche la nascente politica comune europea della difesa. Confermare come oggi fa il ministro Di Paola l’adesione dell’Italia al programma degli F 35, anche se ridimensionato, significa sostanzialmente ribadire l’opzione antieuropea proprio nel momento in cui il nuovo governo e in particolare il primo ministro Mario Monti stanno tentando di giocare un ruolo di primo piano nell’elaborazione di una nuova fase politica comunitaria. L’aspetto positivo è che comunque anche il ministro Di Paola comincia a rendersi conto di quanto sia insostenibile la difesa su tutta la linea del programma F 35, nel momento in cui agli italiani vengono richiesti dal governo sacrifici rilevanti per impedire che la crisi finanziaria e di bilancio si aggravi fino al punto di non ritorno del de fault. Sulla parziale marcia indietro del ministro ha senza dubbio influito la mobilitazione contro il costoso progetto degli F 35 cresciuta in queste ultime settimane in Italia e sostenuta da decine di organizzazioni di orientamento pacifista che hanno lanciato la campagna « Taglia le ali alle armi ». Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo e uno degli animatori di queste iniziative, fa notare che il costo di soli 3 F 35 equivale all’intero ammontare (circa 300 milioni di euro) del fondo per i non autosufficienti per l’assistenza domiciliare di 250 mi-la cittadini disabili.