Produzione e industria bellica
La fine della guerra fredda vede impiegati in Italia circa 51000 dipendenti nel comparto bellico. In Lombardia questa cifra si aggira intorno alle 14000 unità, a cui vanno aggiunti altri 11500 occupati nell’indotto, su un totale di circa 4 milioni di impiegati nella regione. Già nel 1993 gli impiegati nel comparto bellico nazionale si riducono a circa 39.100, di cui circa 10000 in Lombardia.
Nei primi anni duemila l’occupazione resta quasi costante; nel 2003 gli occupati nel settore bellico nazionale sono circa 27200, con una stima di circa 23000 persone occupate nell’indotto.
Il comparto bellico italiano è oggi dominato da quattro grandi gruppi: Finmenccanica (che controlla tra l’altro Agusta Westland, Oto Melara, Breda Meccanica Bresciana, Officine Galileo, Aermacchi; copre i settori aeronautico, sistemi terrestri e navali, spazio ed elicotteristica), Fincantieri (cantieristica navale), entrambe aziende con prevalenza di capitale pubblico. Troviamo poi Fiat (veicoli per il trasporto terrestre, mezzi corazzati, spazio, motoristica aeronautica e navale, munizionamento) e Marconi Group (elettronica e comunicazioni).
Nel 2003 il fatturato del settore bellico nazionale è di 10,3 miliardi di euro su cui l’esportazione incide per circa metà del fatturato (nel 2001 il fatturato complessivo dell’industria bellica è stato di 8,6 miliardi di euro; le esportazione hanno superato il 55% del totale, per 4,7 miliardi di euro).
Non tutta l’esportazione è però per uso militare; il trasferimento all’estero di sistemi e componenti per uso militare, compresi cioè nella disciplina prevista dalla legge 185/90 sono solo il 15% del totale estero.
A questo riguardo crescono quasi del 30% le consegne effettuate nel 2003 rispetto all'anno precedente passando dai 487,2 milioni di euro (2002) a 629,6 milioni di euro (2003). Ma soprattutto aumentano le nuove autorizzazioni che raggiungono la cifra record dell'ultimo quadriennio toccando 1 miliardo e 282 milioni di euro con un incremento che sfiora il 40% (39,36%) rispetto ai 920 milioni di euro del 2002 (erano 863 milioni di euro nel 2001 e 856 nel 2000). Il settore aerospaziale e della difesa rappresenta all’incirca l’ 1% del prodotto interno lordo.
Tra i paesi clienti dell’industria delle armi italiana sono presenti sia paesi NATO sia paesi in guerra o dove non vengono rispettati i diritti umani, tra cui Cina, Turchia, Arabia Saudita, Siria, Algeria, India e Pakistan.
L’industria bellica in Lombardia è concentrata quasi esclusivamente nelle province di Varese, Milano e Brescia. In particolare troviamo 137 imprese in provincia di Brescia, 8 in provincia di Milano, 5 per Bergamo, 2 per Brescia, Cremona e Pavia, 1 per Sondrio e per Varese.
In provincia di Brescia la produzione riguarda esclusivamente armi leggere, tipo pistole e fucili, e armi pesanti tipo cannoni navali. In provincia di Milano predominano gli equipaggiamenti avionici e per le telecomunicazioni. Nella provincia di Varese è concentrata la produzione elicotteristica nazionale e di aerei da addestramento e da guerra.
Nel 2003 sono registrate in Lombardia 158 imprese che producono armi; erano 170 nel 1998. Nonostante questa contrazione si registra un aumento delle armi prodotte ed esportate: +30,2% rispetto a dieci anni prima. Questo rispetto ad un aumento generale delle esportazioni lombarde del 75,4% sempre negli ultimi dieci anni.
La Lombardia nel 2003 ha esportato armi per 236 milioni di euro, corrispondente al 39,1% dell’export nazionale di armi; di questa cifra ben il 31,9% viene dalla provincia di Brescia; dove il 2004 si è chiuso con una crescita ulteriore del 2,9 % rispetto all’anno precedente. Si tratta della produzione più alta degli ultimi dieci anni.
Nell’agosto del 1999 un rapporto dell’ONU sosteneva che il 90% dei morti e dei feriti nei conflitti degli anni novanta, nella stragrande maggioranza donne, bambini e anziani, era da attribuirsi all’impiego delle piccole armi. Tra i 49 conflitti scoppiati dopo il 1990 ben 46 sono stati combattuti (o si stanno combattendo) impiegando soprattutto questo tipo di armamenti.
In questo contesto, con 639 milioni di armi leggere in circolazione nel mondo – vera arma di distruzione di massa – l’Italia (e per essa la Lombardia) sale sul podio conquistando, già dal 2001, il secondo posto nella classifica dei paesi esportatori di armi leggere nel mondo, dopo gli USA e prima del Belgio.