Gli accordi militari dell'Italia
Il Parlamento sta lavorando di gran lena per ratificare i disegni di legge di accordi di cooperazione militare bilaterale stipulati dall’Italia con altri Paesi (Algeria, Cina, Kuwait, India, Israele e Serbia). Non si tratta di Paesi qualsiasi, bensì, invece, di Paesi belligeranti o che sono nella lista nera di Amnesty International per le violazioni dei diritti umani. Oltre ai predetti provvedimenti all’esame delle Camere sono da aggiungere una serie di altri accordi, già ratificati negli ultimi anni e quindi già divenuti legge, fra i quali Egitto, Giordania, Uzbekistan, Lituania, Lettonia, Gibuti, Georgia, Croazia ed Indonesia. I provvedimenti sono coerenti con la crescente militarizzazione della politica estera italiana. Infatti oltre alla partecipazione alle guerre illegali in Afghanistan ed Iraq è da sottolineare il ruolo svolto nel tentativo di eliminare l’embargo europeo alla Cina, finora non riuscito e quello verso la Libia, eliminato da alcuni mesi; nel rafforzamento di Finmeccanica, l’holding posseduta dal ministero dell’economia e fra le principali industrie militari mondiali; il continuo svuotamento della legge che disciplina il commercio delle armi (185/90); le dichiarazioni di Berlusconi che si è autodefinito «commesso viaggiatore dell’industria militare italiana; l’entusiasmo scatenato fra le forze politiche, in maniera trasversale, per la vittoria dell’Agusta nella fornitura degli elicotteri alla Casa Bianca. Quest’ultima commessa rende ancora più difficile la riconversione produttiva verso il civile e non garantisce nemmeno l’occupazione, visto che nelle fabbriche inglesi saranno eliminati quasi 700 posti di lavoro. Infine, la legge di revisione dei codici militari.
l’intesa con Israele
Uno dei provvedimenti più inquietanti fra quelli in esame è relativo ad Israele. Il Senato ha approvato in prima lettura l’intesa con Tel Aviv, approvato anche dalla Commissione esteri della Camera e che prossimamente sarà discusso dall’Aula di Montecitorio. Il Governo Berlusconi, invece di contribuire a fermare la barbarie, pensa a rafforzare la formidabile macchina da guerra di Israele. L’accordo con Tel Aviv evidenzia la subalternità italiana nei confronti di Washington, in contrasto con una politica estera comune europea, impegnata nel portare avanti la cosiddetta road map e ad accreditare Alleanza Nazionale quale forza politica moderata. Israele non va dimenticato è l'unica potenza nucleare del Medio Oriente ed il possesso dell'atomica spinge altri Paesi a seguirne il cattivo esempio. Più in generale, gli accordi vanno considerati come uno strumento per facilitare la penetrazione delle merci italiane nei mercati esteri e per avere consensi nell'attribuire un seggio all'Italia nel Consiglio di Sicurezza all'Onu.
più difficile il controllo degli armamenti
Più in generale gli accordi definiscono, in termini generici, la cornice della cooperazione militare nei seguenti aspetti: misure per favorire gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie per la produzione di armamenti, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte, peacekeeping, talvolta ricerca e sviluppo nella produzione militare, ecc. I dettagli degli accordi sono rimandati a successive intese fra i vertici dei rispettivi ministeri della Difesa.
Ad ogni modo gli accordi facilitano la collaborazione dell'industria per la difesa italiana con quella degli altri Paesi, anche dove tale industria non è particolarmente sviluppata, rendendo più difficile il controllo degli armamenti e favorendone la proliferazione. Ad esempio il provvedimento relativo all'Indonesia consentirà di rafforzare la locale industria militare, che nel periodo 1999-2003, secondo il Sipri, prestigioso istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma, ha esportato armi per ben 170 milioni di dollari, quindi Jakarta è il 27° fornitore mondiale.
Sussiste il problema, poi, del raccordo delle intese con la legge 185 che disciplina il commercio delle armi «made in Italy», infatti, c'è il rischio che agli interscambi militari adottati in base agli accordi stessi si applichino meno controlli. In particolare alle intese con Algeria, Kuwait ed India, secondo il Governo, opera un regime semplificato, che può facilitare il trasferimento di armi.
esclusione del Parlamento
Gli accordi non prevedono alcuna forma di trasparenza, il Governo ha respinto l'ordine del giorno al Senato che lo impegnava ad informare il Parlamento sulle attività effettuate in base all'accordo con Israele, peraltro soggetto a norme di segretezza, incompatibili con la democrazia. UEsecutivo non è tenuto ad informare il Parlamento sulle attività effettivamente svolte in base
agli accordi. Sarebbe indispensabile, invece, per tutti gli accordi obbligare l'Esecutivo ad una relazione annuale dettagliata su tali attività. Né sono previste condizioni, in altre parole non si utilizza la leva degli aiuti militari per condizionare la politica dei paesi beneficiari, ad esempio al rispetto delle libertà fondamentali o alla soluzione politica e pacifica delle controversie. Esistono anche altre importanti questioni. Il disegno di legge relativo alla Cina è in contraddizione con l'embargo europeo sulle vendite di armi a Pechino di cui in perfetto stile bipartisan sia Berlusconi sia Prodi si sono espressi per la sua rimozione. A queste prese di posizioni si è anche aggiunta l'autorevole voce del Presidente Ciampi nel corso della visita ufficiale in Cina, alla fine dell'anno scorso. Il Parlamento Europeo si è invece ripetutamente espresso per il suo mantenimento, così come ultimamente anche il Presidente Usa, Bush. Ma non c'è niente da fare di fronte alla potenza della lobby delle armi. La Cina rimane uno dei principali mercati delle armi «made in Italy».
questione di cultura
È da sottolineare, tuttavia, che nel corso dell'iter parlamentare degli accordi la posizione assunta dal Centro-Sinistra è cambiata e non si tratta di cosa di poco conto. Mentre al Senato Margherita e Ds hanno approvato l'accordo con Israele, alla Camera, in Commissione Esteri, gli stessi partiti hanno votato contro. Nella ratifica di altri accordi il Centro-Sinistra ha chiesto, senza successo, l'abrogazione delle norme che conferiscono a taluni Paesi extracomunitari un regime agevolato nell'interscambio di armi.
In definitiva è necessario porre una questione culturale, per contrastare l'opinione che le armi siano una merce come tante altre e che anzi tali esportazioni favoriscano l'economia. Nulla di più sbagliato. Alle forze del Centro-Sinistra spetta il compito di riportare i problemi della pace e del disarmo al centro della politica italiana. E necessario lavorare per dare attuazione, invece, a quanto affermava molti anni fa il presidente Pertini: «si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai>). Sarebbe opportuno uno scatto di orgoglio del Parlamento affinché si dica no a tali accordi. Del resto la cultura della pace si diffonde, non solo con il ritiro dei soldati dall'Iraq, ma anche respingendo norme che rafforzano gli apparati militari di altri Paesi.