Armi e missioni, dove si fermano i tagli di Tremonti
Tagli, tagli, tagli. Se tra il ministro dell'economia Giulio Tremonti e il super-sottosegretario Gianni Letta è tutto un sorridere, ammiccare e farsi complimenti, tornando al proprio dicastero ogni ministro s'è accorto che il portafogli dei prossimi tre anni sarà più magro.
L'ha notato pure Ignazio La Russa, come ha saputo che con lui sono arrabbiati anche i poliziotti di destra (ha dato dei «sessantottini» a tutti coloro che lamentavano la stretta sul comparto sicurezza). Ieri, sulle pagine di Repubblica, ha annunciato che se le risorse non saranno recuperate dovrà ridurre le missioni all'estero: «Se non ci sono i soldi per mantenerle, metterò il governo con le spalle al muro: decida quali tagliare».
Il grido del ministro ha trovato l'immediata solidarietà di destra e sinistra. Mauro Del Vecchio, ex generale ed oggi senatore Pd, ha parlato di «comprensibile e giusto sfogo» e Italo Bocchino, vicecapogruppo dei deputati Pdl (in quota An) ha chiesto che «governo e maggioranza si impegnino a rifinanziare le missioni all'estero».
Il problema, però, è che i tagli di cui parla La Russa non riguardano le missioni all'estero. E neppure l'acquisto di nuove armi. Come avviene da almeno cinque anni a questa parte, cambia il governo ma con il bilancio della Difesa si fa sempre la stessa cosa: giù gli investimenti sulla professionalizzazione dei militari e su i contratti per armi tecnologicamente avanzate. Meglio se spendendo soldi su un progetto costoso come quello dei dispendiossissimi Joint Strike Fighter avviato dal governo Prodi.
«Da anni le riduzioni riguardano sempre la professionalizzazione. E' così che il nostro esercito, che conta 170.000 uomini, è arrivato al paradosso di non avere professionisti da impiegare nel turn over dei 10.000 uomini inviati in missione», spiega Giulio Marcon, fondatore di Ics e autore della campagna Sbilanciamoci!, quella che ogni anno fa i conti in tasca ai nostri soldati. E in effetti, spulciando il decreto 112, si trova facilmente l'articolo 65, dedicato alle Forze armate, con quella sforbiciata del 7% alle leggi sul Servizio militare professionale e sulla Sospensione anticipata del servizio di leva.
In salvo, ovviamente, il finanziamento introdotto da Prodi per tutte le missioni all'estero: un miliardo all'anno per tre anni a partire dal 2008 diviso in 19 fette, le più grandi per Libano e Afghanistan.
«I tagli alla professionalizzazione mettono a rischio la vita dei soldati italiani già ora. Anzi da anni», s'indigna Domenico Leggiero dell'Osservatorio militare (organizzazione divenuta famosa per la lotta al fianco dei militari esposti all'uranio impoverito): «Vi ricordate l'incidente del 2005 in Iraq e la morte dei quattro elicotteristi italiani? Nessuno dei piloti aveva le carte in regola per volare senza un esperto al fianco. Li mandarono allo sbaraglio, convinti di poter usare quella missione "semplice" al posto di una esercitazione. E li condannarono».