La Slovenia coinvolta nel traffico d'armi
Viene pubblicato a Lubiana il libro di Matjaz Frangez dal titolo "Ma cosa ci potete fare" e il sottotitolo "Il boss delle armi", all’interno del quale sono stati inseriti tutti i documenti che dimostrano il coinvolgimento di personaggi e strutture istituzionali sloveni nel traffico d'armi dei Balcani. Frangez descrive nel suo saggio tutte le tappe della guerra della ex Jugoslavia negli anni 1991-1995, quando i Balcani diventano mercati di destinazione e di esportazioni di armi e munizioni.
Il traffico d’armi nei Balcani continua a far parlare di sé mentre vengono alla luce nuove interessanti prove che ampliano sempre più lo spettro del giro d’affari nei diversi Paesi. La fornitura di armi bosniache alla Georgia ha messo in evidenza il collegamento tra Governo bosniaco e società di commercio di armi croate, e dalle ultime indiscrezioni trapelate, sembra che anche la Slovenia sia fortemente coinvolta. Dieci giorni fa è stato infatti pubblicato a Lubiana il libro di Matjaz Frangez dal titolo "Ma cosa ci potete fare" e il sottotitolo "Il boss delle armi", all’interno del quale sono stati inseriti tutti i documenti che dimostrano il coinvolgimento di personaggi e strutture istituzionali sloveni. Frangez descrive nel suo saggio tutte le tappe della guerra della ex Jugoslavia negli anni 1991-1995, quando i Balcani diventano mercati di destinazione e di esportazioni di armi e munizioni, comprovando le sue argomentazioni con documenti "top secret".
Documentazione ufficiale, trascrizioni, ordini e fatture, che portano il nome di uomini che ora occupano importanti posizioni di potere e che nel passato hanno collaborato con Personaggi come Franjo Tudjman, Alija Izetbegovic e gli altri "Fratelli dal Sud", mai processati per i loro crimini. Le forniture di armi, che partivano dalla Slovenia e giungevano direttamente negli arsenali degli eserciti della Bosnia, hanno avuto inizio un anno prima dell'indipendenza slovena, continuando sino al 22 maggio nel 1992 quando lo Stato sloveno è diventato membro delle Nazioni Unite. Allora è stato istaurato nei confronti della Slovenia, almeno formalmente, un embargo per l'esportazione delle armi, in base alla Risoluzione n.713 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU emesso il 25 settembre nel 1991. Nel suo libro, Frangez mostra però le enormi cifre del traffico d’armi che esisteva negli anni dell'embargo alla Slovenia, senza lasciare alcuna traccia elettronica, grazie a "valige" piene di soldi e un sistema finanziario al collasso all’indomani del conflitto. Sotto i riflettori dello scandalo vi è Janez Jansa, l’allora Ministro della Difesa che ha fatto una grande carriera divenendo Premier, nonché l’ex Ministro degli Interni Igor Bavcar.
Ripercorrendo l'intero processo di esportazione Frangez spiega come, in un primo momento gli armamenti giungono in Slovenia provenienti dai mercati esteri, in piena violazione delle leggi della Federazione Jugoslava, con la motivazione che la fornitura serviva per ogni possibile attacco dell'esercito jugoslavo (JNA). Durante il 1991 vengono effettuate cinque spedizioni e, stando a quanto affermato da Ludvik Zvonar, responsabile per le nuove forniture di armi presso il Ministero della Difesa, il quale dichiara che le armi venivano acquistate grazie a dei crediti commerciali acquisiti all'estero e acquisendo così valuta straniera: da ognuno di quelle transazioni era possibile ottenere tre o quattro milioni di marchi tedeschi. A procurare a Zvonar i fondi per l’acquisizione delle nuove armi era Janez Jansa in persona, che forniva grandi quantità di contante. E pensare che da anni il Premier Jansa si difende dagli attacchi dell’opposizione affermando che le forniture di armi non venivano pagate in contanti.
Lo stesso Edi Rijavec testimonia il processo di esecuzione delle forniture, spiegando che "una volta aperti i container, si separavano le armi destinate all'equipaggiamento militare dell'esercito sloveno da quelle destinate all’esportazione, e circa il 90% la merce che non era interessante per la Slovenia, come kalasnikov 5.45, pistole e caschi, venivano riversato sul mercato croato". "Per ogni cargo che giungeva in Slovenia veniva interpellato il Ministro della difesa Janez Jansa che personalmente controllava ogni fornitura", afferma Rijavec confermando che Jansa ha organizzato almeno cinque grandi transazioni. In tali operazioni furono coinvolti i massimi esponenti le potere politico della Slovenia, tra cui, oltre Jansa, Janez Drnovsek, Herman Rigelnik, Dmitrij Rupel e Igor Bavcar, i quali si incontrarono il 6 gennaio nel 1993 per decidere "di interrompere le forniture di armi nei confronti degli Stati vicini dei Balcani". Uno stenogramma di quella riunione conferma che Janez Jansa ha dichiarato: "Quando si parla di forniture di armi, quelli sono fatti miei, ma sappiate che non ho mai preso una decisione da solo. Comunque sono d’accordo che le forniture verso bosniaci e croati vengano interrotte". Dalla stessa trascrizione si viene a sapere che nelle forniture sono stati coinvolti anche austriaci che fornivano armi alla Slovenia, come da loro stessi confermato in via non ufficiale.
È evidente, dunque, che il traffico di armi non vuole lasciare le terre dei Balcani dopo quella sanguinosa guerra, ed è ancora un motivo per i loro sporchi giochi di potere. Ora le armi non servono più ad uccidere la gente, ma ad eliminare dalla scena politica i personaggi politici "vecchio stile", divenendo un mezzo per l’avvento della nuova generazione di statisti all’indomani delle elezioni in Slovenia. Una storia vecchia di 10 anni, che non scalfirà certo un Paese come la Slovenia già membro dell’UE, ma servirà a sostituire la figura politica di Janez Jansa, con quella di un nuovo politico della "democrazia occidentale" come Borut Pahor, mentre le armi continueranno ad essere vendute verso i nuovi Paesi fomentando nuove guerre.