E se rinunciassimo a 131 aerei cacciabombardieri?
Gli economisti ne avevano calcolato puntigliosamente i benefìci: accorpare il referendum alle elezioni già previste per le europee e le amministrative, il 6 e 7 giugno prossimi, avrebbe fatto risparmiare circa 400 milioni di euro. Cifra superiore al tetto di spesa per il 5 per mille (che è di 380 milioni), e due volte tanto il costo della tanto strombazzata social card.
Saranno soldi pubblici sciupati malamente, in un momento in cui gli italiani, con generosità, aiutano con i loro soldi le vittime del terremoto d’Abruzzo. Uno spreco che i cittadini non capiscono né accettano. I politici potranno arrampicarsi sugli specchi (come stanno facendo), ma non c’è una sola "buona ragione" che giustifichi tanto spreco.
O meglio, una ragione c’è: il ricatto della Lega, che tiene sotto scacco il Governo e il Paese intero. L’ha ammesso il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che pubblicamente ha espresso i suoi dubbi: «Sarebbe un peccato se per la paura di pochi si rinunciasse a tenere il referendum il 6 e 7 giugno, spendendo centinaia di milioni che potrebbero essere risparmiati».
Anche la Confindustria è irritata, e la sua presidente, Emma Marcegaglia, non è stata tenera: «Una cosa inaccettabile».
C’è poi il disarmato sconcerto di chi, semplice cittadino, solidale con i terremotati, s’è trovato ad assistere a un altro stucchevole dibattito: togliere (solo per quest’anno, per carità!) la possibilità di destinare il 5 per mille alle organizzazioni di volontariato, che tanto si danno da fare contro la povertà e l’emarginazione, sia in Italia che all’estero; anzi, no, aggiungere una specifica voce "pro terremoto" nella casella del 5 per mille.
Come dire, "una guerra tra poveri", una sorta di sondaggio se aiutare o no le popolazioni abruzzesi, in concorrenza con altre "emergenze ordinarie" (assistenza agli anziani, ai disabili, ai minori...). «Non si può mettere in concorrenza l’associazionismo, il volontariato e l’Abruzzo, quasi fossero cose opposte o alternative», ha detto il presidente delle Acli, Andrea Olivero, «quando è il volto dell’associazionismo e del volontariato il primo che hanno potuto vedere i terremotati colpiti da questa sciagura».
Oppure (che idea!), sospendere l’8 per mille alle confessioni religiose (meglio se solo quello alla Chiesa cattolica), dimenticando che la quota che va allo Stato già dovrebbe essere destinata «a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario».
Ci si affanna a cercare fondi per la ricostruzione, senza pesare sui cittadini con nuove tasse (anche se non sarebbe scandaloso un contributo dei redditi più alti, a cominciare dai parlamentari). Eppure, una soluzione ci sarebbe. E da sola basterebbe a finanziare la ricostruzione dell’Abruzzo, oltre a fronteggiare i drammatici effetti della crisi economica, che è già sparita dalle pagine dei giornali, ma non per questo è meno grave, soprattutto per le famiglie.
Si tratterebbe di bloccare la spesa approvata in gran silenzio dalle Commissioni Difesa della Camera e del Senato per l’acquisto di 131 aerei cacciabombardieri dal costo di 100 milioni di euro l’uno (con il costo di un aereo si potrebbero costruire 400 asili nido o pagare l’indennità di disoccupazione a 80 mila precari). Visto che la Guerra fredda è finita e che non dobbiamo invadere la Cina, rinunciare a questi aerei d’attacco (meglio noti con la sigla F-35), in grado di trasportare ordigni nucleari, ci consentirebbe di ricavare risorse per oltre 12 miliardi di euro. Esattamente il fabbisogno stimato per la ricostruzione in Abruzzo.