La guerra in Darfur e le armi di Pechino
La zampata del Dragone dell'Asia si abbatte sul Palazzo di vetro. La Cina, che mal digerisce i rilievi mossi a più riprese dall'Onu in materia di diritti umani, ha avviato una dura battaglia diplomatica per impedire che si discuta in Consiglio di sicurezza un rapporto che denuncia le sue violazioni dell'embargo sulla vendita delle armi al Sudan.
Nella relazione si afferma che munizioni provenienti dalla Cina sono state rinvenute nella regione del Darfur, dove è in corso una vasta crisi umanitaria conseguenza di un lungo conflitto iniziato nel 2003, e usate contro i peacekeepers della missione congiunta Onu-Unione africana dispiegata dal 2008 a tutela della popolazione.
Il rapporto evidenzia come le forze governative sudanesi abbiano usato, negli ultimi due anni, oltre una decina di serie diverse di munizioni cinesi contro i ribelli del Darfur e che altrettante siano state trovate nei luoghi in cui si sono verificati gli attacchi alle forze Unamid.
Le indiscrezioni sul documento sono filtrate al termine di un'infuocata seduta della Commissione del Consiglio di sicurezza Onu che monitora l'applicazione delle sanzioni contro il Sudan. La reazione della Cina è stata immediata.
Il portavoce del ministero degli Esteri Ma Zhaoxu, definendo "infondate" le informazioni raccolte nel rapporto, ha dichiarato che si tratta di "un'azione impropria, quanto meno irrituale, da parte della Commissione interessata che rivolge accuse non fondate contro Stati membri sulla base di informazioni non confermate".
Zhaoxu ha inoltre ribadito che "la Cina ha sempre attuato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu contro il Sudan in modo serio e preciso".
A tali rilievi il presidente della Commissione, l'ambasciatore austriaco Thomas Mayr-Harting, ha risposto disponendo l'aggiornamento degli allegati della relazione per includere ulteriori informazioni sulle fonti. Harting ha però sottolineato che il rapporto non verrà modificato e sarà inviato al Consiglio di sicurezza la prossima settimana.
D'altronde le obiezioni sollevate dai cinesi non hanno ottenuto alcun supporto dai membri dell'organismo di controllo che rappresentano i 15 componenti del Consiglio di sicurezza. Ciononostante Pechino continua a opporsi con ogni mezzo alla diffusione del rapporto.
Non è la prima volta che la Repubblica Popolare Cinese cerca di frenare la divulgazione di notizie relative al traffico di armi in Sudan.
Ne sa qualcosa Human Rights First, una delle principali Ong internazionali impegnate nella difesa e nella promozione dei diritti umani, che ha subito forti ritorsioni sia prima sia dopo aver pubblicato il dettagliato rapporto Investing in Tragedy: China's Money, Arms and Politics in Sudan.
Secondo i dati raccolti dagli attivisti, la Cina guida la classifica dei fornitori del più grande Stato africano con il 90% del totale delle armi, soprattutto leggere. Dal 2003 ad oggi ha venduto a Khartoum armi leggere per un valore di 55 milioni di euro, ottenendo in cambio petrolio, di cui il paese è ricco.
Non a caso dal 2000 ad oggi l'estrazione del greggio è aumentata del 291%, arrivando ad un valore per il produttore di 4,5 miliardi di euro, contro i 62 milioni del 1999. Contestualmente alla maggiore produzione petrolifera, è stato registrato un incremento dell'acquisto di armamenti 680 volte più consostente.
E' facile comprendere, sulla base di tali informazioni, perché il rapporto annunciato all'Onu desti grandissima preoccupazione in Cina e, soprattutto, perchè Pechino non si arrenderà facilmente e lotterà fino alla fine per impedirne la diffusione.