Armi allo Yemen: gli Usa preoccupati, per l'Italia è un "dato statistico"
Nei numerosi dispacci segreti della diplomazia Usa pubblicati sul sito di Wikileaks (che alimentano soprattutto pruriti da gossip dipomatico) troviamo anche informazioni relative ai traffici di armamento. Gli Stati Uniti d'America si dicono preoccupati sia in quanto il venditore è stato coinvolto in passato in affari verso la Liberia sotto embargo, sia per l'esplosiva situazione nello Yemen, considerato base terrotistica, che oltre all'accordo con Tesic sta cercando di comprare da altre nazioni dell'Est Europa numerosi armamenti (si tratterebbe sempre di munizioni per piccole armi, munizioni per artiglieria pesante, fucili di precisione, equipaggiamento per demolizione, mitragliatrici anti-aeree e obici). Non risulta infatti chiaro se il governo locale sia intenzionato ad usare tali armi contro i ribelli interni oppure stia conducendo dei programmi di acquisto per triangolazioni verso formazioni armate (terroristiche o meno) attraverso il robusto mercato nero che caratterizza lo Stato arabo. I legami tra l'Italia e lo Yemen, invece, non sono degni di una storia "spionistica" esotica. Sono dati dell'Istat e dell'Agenzia delle dogane, e forse è per questo che alla stampa italiana non interessano. E dimostrano, se ne ce fosse bisogno, che i veri problemi e impatti negativi che riguardano le armi non siano i traffici, comunque preoccupanti, ma il commercio legale e ufficiale. Che da solo contribuisce per il 75% a tutti gli spostamenti e le commercializzazioni di armamenti di ogni anno. Senza infatti andare a scavare in cablogrammi segreti dell'amministrazione Usa, ma accedendo a dati ufficiali e pubblici (citati anche in un recente rapporto di Amnesty International che dipinge la preoccupante situazione del Paese arabo), possiamo scoprire tutte le recenti forniture di armi nostro Paese verso lo Yemen. Già il rapporto di Amnesty cita circa 300mila dollari di revolver e pistole di natura militare, ma per essere più precisi possiamo rifarci sia ai dati statistici nazionali (ISTAT) ed internazionali (ONU COMTRADE) che a quanto riferito nella relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento sull'export bellico italiano. Ci aiuta a districarci nel groviglio di cifre Giorgio Beretta (collaboratore di Unimondo ed esperto di Rete Disarmo): "Se prendiamo in considerazione quanto riportato da ISTAT e ONU COMTRADE ci troviamo di fronte ad armi non ad uso militare o da guerra, ma sempre ovviamente armi leggere quindi le più problematiche in certe zone del mondo. Sia i dati italiani che quelli internazionali devono corrispondere, perchè riguardano la stessa filiera di controllo, ed entrambi ci raccontano di grosse forniture per il 2009: oltre 200.000 euro per 595 rivolltelle e pistole e 280.000 euro di munizioni e parti di armi". Il tutto, come detto, trattato come mero dato statistico, senza approfondire motivi di questa vendita e soprattutto senza esplicitare nelle mani di chi queste armi siano arrivate. E per quanto riguarda le armi ad uso militare? "Qui possiamo essere ancora più precisi - riprende Beretta - grazie all'incrocio di diverse tabelle della Relazione al Parlamento della Presidenza del Consiglio (ex lege 185/90) che speriamo non venga smembrata dalle disposizioni di ratifica di norme europee che il Governo ha in progamma. Per l'anno 2009 la fornitura effettuata dalla Fabbrica d'armi Pietro Beretta spa 35 fucili a ripetizione manuale calibro 7,62x51 mm NATO con calcio pieghevole (e 70.000 unità di relative munizioni) oltre a 35 fucili a ripetizione manuale calibro 8,6x70mm NATO con calcio pieghevole (sempre con i soliti 70.000 pezzi di munizionamento). Per i fucili di entrambi i calibri è poi stata autorizzata la vendita di 595 parti di ricambio" - conclude Beretta Come la mettiamo quindi con tutti gli allarmismi e i vuoti richiami alla "linea dura" (che si abbatte sempre sui poveracci) che ciclicamente si leva dopo attacchi o tentativi di azioni armate effettuati da gruppi terroristici che in quei luoghi hanno avuto la loro culla?
In diversi documenti i funzionari dell'amministrazione statunitense cercano di monitorare le vendite di armi a Paesi considerati problematici o che potrebbero aumentare le tensioni in aree delicate del globo.
Una serie di "cables" recentemente rilasciati si soffermano sul pericolo indotto da flussi di armamenti originati da Paesi principalmente dell'Est Europa verso regimi instabili e gruppi terroristici del Medio Oriente. Gli interventi di controllo e blocco tracciati sono una dozzina, e interessano Ucraina, Bulgaria, Armenia e Cina, Paesi d'origine di accordi di vendita verso Iran, Iraq, Sudan meridionale e Yemen.
Su quest'ultimo Stato i dati sono approfonditi ed allarmanti: un affarista serbo (Slobodan Tesic), già sulle liste nere internazionali, è riuscito a firmare nell'ottobre 2009 un contratto con il Ministero della Difesa yemenita per la fornitura di armamenti (i dispacci non concordano sulla cifra totale: 78 oppure 95 milioni di dollari di controvalore). Il tutto tramite una compagnia schermo con sede a Cipro, nazione conosciuta per aver dato ospitalità anche a trafficanti italiani, come abbiamo descritto due anni fa su Altreconomia ("Piccoli trafficanti crescono", Ae 101).