La verità sui caccia F-35 non viene certo dal Ministero della Difesa
Dopo diversi passaggi televisivi ed alcune interviste per i maggiori quotidiani, il Ministro-Ammiraglio Di Paola continua nella sua opera di “informazione a senso unico” sulla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter per i cacciabombardieri F-35. Nei giorni scorsi il Ministro-Ammiraglio ha infatti riferito ai giornalisti delle agenzie di stampa, con una lettura univocamente positiva, di una telefonata con il Segretario alla Difesa USA Leon Panetta proprio sul JSF. Secondo quanto riferito gli USA “confermerebbero come fondamentale il progetto” pensando ad una piena produzione dei caccia “a partire dal 2016-17”. E questo dovrebbe tranquillizzare chi vede la ricaduta anche sull'Italia dei problemi più volte denunciati anche dalla campagna “Taglia le ali alle armi!”. Peccato però che il Ministro-Ammiraglio si sia dimenticato di aggiungere che queste date significano almeno 3 anni di ritardo sulla tabella di marcia prevista (che era stata già ridefinita in passato) con una conferma diretta dei gravi problemi che affliggono il programma, tanto è vero che gli USA hanno deciso ufficialmente di ridurre di quasi il 50% il numero di velivoli ordinati in queste fasi iniziali di produzione (dato anch'esso abilmente sottaciuto nelle dichiarazioni alla stampa).
Il sospetto è che il Pentagono voglia attendere un velivolo maturo e senza problemi (che andrebbero nel caso sistemati successivamente con una revisione totale) prima di perfezionare i propri acquisti, spingendo nel contempo i partner del programma a comprare i propri aerei sia per dare sostegno alla Lockheed Martin sia per scaricare su di loro la gestione delle imcompiutezze di natura avionica e tecnica.
Ancora una volta quindi si cerca di ridimensionare i problemi del caccia F-35 non sottoponendolo a verifica, come invece sbandierato ai quattro venti per tutti gli altri programmi d'armamento. Eppure una grande pausa di riflessione sarebbe opportuna, sia in vista di un ripensamento complessivo del Modello di Difesa sia considerando che le notizie provenienti dall'India (scelta del Rafale francese al posto dell'Eurofighter prodotto da un consorzio anche a partecipazione italiana) dimostrano una carenza nel valutare la situazione generale. Con alcuni scenari inquietanti derivanti dalle affermazioni recenti dell'ex-sottosegretario Crosetto (“Mi auguro solo che la sconfitta non sia stata guidata sacrificando una parte dell'industria della difesa italiana ad altre logiche ed altri interessi”)
A ciò si aggiunge quanto affermato in audizione alla Camera la scorsa settimana dal direttore degli armamenti aeronautici del Ministero della Difesa Generale Esposito che, secondo diverse agenzie, pone in circa 14 miliardi di dollari (di cui 6 per la costruzione delle ali) i ritorni industriali del programma per l'Italia citando un costo ad aereo di circa 70 milioni di dollari.
Probabilmente nelle accademie militari si insegna strategia e non a far di conto perché con questi dati l'Italia avrebbe davvero fatto un affarone con la partecipazione al programma: secondo i dati forniti i 131 aerei previsti ci costerebbero solo 9,17 miliardi di dollari a fronte di una ricaduta in Italia sul piano industriale di ben 14 miliardi di dollari! Un miracolo, quindi, che ci permetterebbe di “fatturare” come paese l'equivalente del costo complessivo di 200 cacciabombardieri (sempre secondo il listino prezzi del Gen. Esposito), realizzando solo l'assemblaggio degli F35 che acq uistiamo (131, perché gli altri previsti sulla FACO di Cameri sarebbero quelli olandesi attualmente sospesi) e partecipando alla costruzione delle sole semi-ali per un totale di 790 aerei. Una cifra già ridotta rispetto agli iniziali 1.215 aerei ma che è ancora minore se consideriamo i contratti che sono stati effettivamente già firmati ufficialmente e che prevedono per Alenia Aeronautica la produzione di 200 ali.
Riteniamo un problema grave e reiterato quello di fornire al Parlamento (e di conseguenza all'opinione pubblica) dei dati non corretti e utili solo a magnificare testardamente un programma che negli ultimi due anni ha avuto una serie di problemi continua e pesante. Non ci troviamo nel campo delle opinioni: affermare come ha fatto il Generale Esposito secondo le agenzie che un F3-5 costerà all'Italia 70 milioni perché siamo soci del programma è una palese falsità se confrontata con i dati reali. Chi sta gestendo la partecipazione italiana al Joint Strike Fighter non può non conoscere (o peggio occultare ai parlamentari italiani) i dati e le informazioni che negli USA sono di dominio pubblico.
“Dopo un lungo silenzio, la Lockheed Martin già nel dicembre 2010 aveva reso note le prime cifre di vendita agli USA (che non sono solo partner, ma i veri proprietari del programma) dei primi 30 aerei in linea di montaggio – sottolinea Gianni Alioti dell'Ufficio Internazionale di FIM-Cisl - Il costo complessivo stimato si attesterebbe sui 5 miliardi di dollari, comprendenti eventuali integrazioni successive di sistemi avionici e d'arma, ma esclusi i propulsori. Portando così il costo medio per singolo esemplare intorno ai 170 milioni di dollari, senza i propulsori (altri 7,3 milioni di dollari). Il 79% in più rispetto al costo unitario di 94,8 milioni di dollari calcolato nel giugno 2006 dal Centro Ricerche del Congresso USA e il 174% in più rispetto al costo iniziale di 62 milioni di dollari previsto dalla Lockheed Martin” conclude Alioti.
Sulla base di questi dati e di tutta la documentazione prodotta in questi anni da enti ufficiali dei governi coinvolti (GAO e Dipartimento della Difesa negli USA, PBO in Canada) la campagna “Taglia le ali alle armi” ha da diversi mesi stimato il costo finale di acquisti dei 131 caccia ipotizzati per l'Italia in 15 miliardi di euro (quindi circa 115 milioni di euro ad esemplare facendo una media sulle tre tipologie produttive previste),
Una cifra mai smentita da nessuno (Ministero della Difesa in testa) e che anzi invece viene ora utilizzata come base di discussione tra chi è pro e chi è contro al progetto. Ma che viene poi dimenticata, consapevolmente o no, quando esponenti di primo piano del Ministero vanno a riferire ufficialmente alle Camere sul progetto.
Una situazione che riteniamo non più tollerabile perché getta solo opacità e poca chiarezza (come ad esempio su tutta la questione dei ritorni occupazionali) su un programma che per le sue difficoltà e il suo enorme costo dovrebbe essere invece analizzato approfonditamente da politica ed opinione pubblica.