Rete Disarmo rinnova la sua richiesta: fermare le forniture militari ad Israele
Alla luce delle decisioni prese dalla Spagna, che ha sospeso del tutto le forniture di armamenti, e della Gran Bretagna, che ha deciso di riconsiderare le proprie regole (e la cui sottosegretaria agli Esteri si è dimessa proprio per la gestione della crisi di Gaza), la Rete italiana per il Disarmo rinnova la propria richiesta verso il governo Renzi: fermare le forniture militari italiane ad Israele.
Va ricordato come il nostro paese sia il principale fornitore, a partire dall'accordo di cooperazione militare del 2005, del governo Netanyahu. Rete Disarmo fin dal principio della crisi di Gaza ha chiesto questa sospensione, stimolando nel contempo una richiesta a livello europeo con tutte le altre reti per il disarmo. L’Italia è oggi il maggiore esportatore dell’Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele e proprio un mese fa, a raid aerei israeliani su Gaza iniziati, l'azienda Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica ha inviato a primi due aerei addestratori M-346 alla Forza Aerea israeliana
Nel loro insieme i paesi dell’Unione europea sono uno dei principali fornitori di armamenti e sistemi militari a Israele, preceduti solo dagli Stati Uniti. Negli ultimi dieci anni i paesi dell’Unione hanno concesso licenze per l’esportazione di armi e sistemi militari a Israele per un valore complessivo di oltre 2 miliardi di euro, di cui oltre 600 milioni di euro nel solo 2012: vi sono inclusi sistemi di puntamento e di tiro, velivoli e veicoli militari e loro componenti e munizionamento. Secondo i rapporti ufficiali dell’UE, i paesi membri non hanno inviato armi o attrezzature di tipo militare in Palestina dal 2002.
“Dispiace che altri Governi abbiano preceduto il nostro in questo tipo di decisioni – commenta Francesco Vignarca coordinatore della Rete - la nostra Rete ovviamente è per il disarmo a 360° e quindi chiede che vengano messe in atto anche attività per bloccare la fornitura di armamenti ai gruppi che attaccano Israele. Ma la nostra responsabilità principale è quello di fermare le armi che partono dalle nostre fabbriche e contribuiscono a fomentare un conflitto sanguinoso”.
Dalle organizzazioni di RID viene considerato positivo che in questi giorni ci siano delle missioni umanitarie anche italiane per cercare di portare un maggiore sollievo alla stremata popolazione di Gaza, ma queste azioni sono netta dissonanza con la decisione di non fermare le forniture armate.
In particolare Rete Disarmo è preoccupata per la non cancellazione degli addestramenti militari congiunti previsti in Sardegna per l'autunno, addestramenti che vedranno la presenza delle forze aeree israeliane in azioni di bombardamento simulato”.
"L'Italia sta esportando sempre più armi ai paesi del Medio Oriente - aggiunge Giorgio Beretta di OPAL (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere) – e per questo chiediamo che le competenti commissioni parlamentari prendano in esame la Relazione che il Governo da poco inviata alle Camere e svolgano un controllo approfondito di queste esportazioni di cui, a parte il valore complessivo, si sa poco o niente". Nel 2013 i governi Monti e Letta hanno autorizzato esportazioni record (709 milioni) e consegnato sistemi militari (888 milioni) proprio verso il Medio Oriente (si veda l'analisi qui).
E’ infine importante notare come la nostra immediata presa di posizione per la richiesta di un embargo sulle forniture di armamenti sia stata in questi giorni rilanciata dalla grande maggioranza delle ONG italiane (in particolare quelle presenti sul campo), da Emergency e a livello globale ed internazionale anche da Amnesty International.
Queste richieste e preoccupazioni sono stati riferiti dalla nostra Rete al Viceministro degli Esteri Lapo Pistelli nell'incontro che ha concesso la scorsa settimana alle reti pacifiste italiani. Ringraziamo il Governo per questo passaggio di attenzione ma ci auguriamo che all'ascolto facciano seguito decisioni concrete, così come già hanno scelto di fare, pur in maniera differente, sia la Spagna che la Gran Bretagna.